Voci spezzate: il dolore e la forza delle donne

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Quando una vita viene spezzata, non muore solo una persona: si interrompe un intero universo fatto di relazioni, silenzi e speranze negate.

C’è un momento, dopo l’annuncio di una donna uccisa, in cui anche il mondo sembra trattenere il respiro. In una casa qualunque resta una tazza a metà, un messaggio non letto, la promessa di un domani che non arriva. È in quell’attimo che capiamo di aver perso qualcosa che non si potrà più ricreare. Non solo una vita: un pezzo di umanità.

Ogni volta mi chiedo chi fosse davvero quella donna. Non il nome nei titoli, ma la persona. Forse rideva forte, forse aveva mani che sapevano cucire, scrivere o accarezzare un volto amato. Forse aveva un figlio che ora non capisce perché la mamma non torni. Le cronache raccontano i fatti, ma non dicono mai abbastanza. Non dicono della paura che cresce piano, della solitudine che si fa muro, delle sere passate a sperare che l’amore cambi volto.

La violenza non arriva mai di colpo. È una goccia che scava, un tono che cambia, uno sguardo che pesa. È un “sei mia” detto come promessa ma pronunciato come condanna. È la libertà che si restringe, fino a sparire.

E intorno, spesso, c’è il silenzio. Quel silenzio che nasce dalla vergogna, dal dubbio, dalla paura di essere creduta. È un silenzio che ci attraversa tutti: nelle famiglie, nelle strade, nei luoghi di lavoro. Perché vedere davvero significa dover fare qualcosa, e non tutti vogliono vedere.

Quando una donna muore così, non scompare solo lei. Si ferma un intero universo: le sue parole, i suoi gesti, i suoi progetti, le sue risate. Restano oggetti che non sanno più a chi appartenere. Restano le sue amiche, che continuano a parlarne al presente, come se il tempo non potesse piegarsi a quella fine. Restano figli che crescono con un’assenza che non si può spiegare.

Essere donna, oggi, è ancora un atto di resistenza. È la fatica di sentirsi sempre in bilico: troppo forti o troppo fragili, troppo libere o troppo dipendenti. È il peso di dover dimostrare di valere, di essere credibili, di non meritare il dolore che si riceve. Eppure, dentro questa fatica, le donne tengono insieme il mondo. Curano, ascoltano, sostengono, riparano. Senza clamore, con quella pazienza che non si impara ma si eredita.

Il femminicidio non è solo violenza: è perdita di civiltà. Ogni donna uccisa è una voce che il mondo non ascolterà più. Una parte di umanità che si spegne. Ogni volta che accade, dovremmo chiederci cosa abbiamo lasciato andare, in quale momento abbiamo smesso di essere una comunità capace di proteggere chi vive accanto a noi.

Scrivere di queste donne non serve a consolare, ma a ricordare. Serve a non normalizzare l’orrore, a dire che nessuna morte così può essere ridotta a un titolo o una statistica. Dietro ogni storia ci sono promesse non mantenute, aiuti che non sono arrivati, segnali ignorati. C’è la nostra parte di colpa, anche solo per aver taciuto.

Eppure, nonostante tutto, la forza delle donne continua a spingersi avanti, anche attraverso il dolore. Nelle madri che ricominciano, nelle figlie che non dimenticano, nelle amiche che trasformano la rabbia in impegno. È una forza che non si può spegnere, che non chiede permesso, che tiene viva la speranza di un mondo diverso.

La donna, nella sua capacità di generare, custodire e ricominciare, incarna una sacralità della vita che tocca il senso più profondo dell’umano. Ogni gesto femminile contiene un frammento di sacro: la capacità di creare dove gli altri distruggono, di ricominciare dove tutto sembra perduto, di amare anche dopo l’abisso.

Per questo, ogni femminicidio è un sacrilegio: un’offesa alla stessa idea di vita. Colpire una donna significa colpire la sorgente del mondo. E ricordarlo non è retorica, è verità. Una verità che dovremmo scrivere nei muri delle scuole, nelle leggi, nei cuori di chi cresce.

Perché solo quando impareremo a vedere la donna per ciò che è – origine, presenza, custode della vita – allora forse smetteremo di perderla così, nel silenzio. E quel giorno, finalmente, il mondo tornerà a respirare a misura di umanità.

Se stai vivendo una situazione di violenza o conosci qualcuno in pericolo, chiama il 1522.
Servizio pubblico gratuito e attivo 24 ore su 24.

Giuseppe Foti – Educatore Psichiatrico

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