Operazione “Basso profilo”- indagato Cesa, si dimette

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È accusato di associazione a delinquere aggravata dalle modalità mafiose Lorenzo Cesa, indagato nell’inchiesta della Dda di Catanzaro sulle cosche della ‘ndrangheta. Tredici persone sono state arrestate e portate in carcere e 35 poste ai domiciliari nel corso dell’operazione “Basso profilo” coordinata dalla Dda di Catanzaro. L’operazione ha visto impegnati duecento donne e uomini della Direzione Investigativa Antimafia e centosettanta unità tra Polizia di Stato, Arma dei Carabinieri e Guardia di Finanza con il supporto di quattro unità cinofile e un elicottero. La casa di Roma di Cesa è stata perquisita dalla Dia.

“Mi ritengo totalmente estraneo” – ha detto Cesa. “Come sempre ho piena e totale fiducia nell’operato della magistratura. E data la particolare fase in cui vive il nostro Paese rassegno le mie dimissioni da segretario nazionale come effetto immediato.”
“Da una prima lettura sommaria degli atti a me notificati dalla Procura – scrive Cesa in una nota – prendo atto del mio coinvolgimento in una limitata vicenda, contigua all’indagine ben più ampia che ha interessato oltre 40 persone, sarebbe cristallizzata ad una partecipazione ad un pranzo di lavoro organizzato a Roma da Franco Talarico, nel 2017, unitamente ai suoi commensali di cui non ricordo neanche il nome. Ritengo mio dovere rendermi disponibile ad una eventuale richiesta di chiarimento da parte degli inquirenti. Ripongo piena fiducia nell’operato della Magistratura, e sono sereno di fronte alle evidenze documentali”

In particolare, Cesa, che all’epoca dei fatti, il 2017, era eurodeputato dell’Udc, d’intesa con Francesco Talarico – l’assessore regionale arrestato nella stessa operazione e all’epoca segretario regionale dell’Udc della Calabria – avrebbe aiutato due imprenditori, indagati nella stessa inchiesta e ritenuti legati a cosche di ‘ndrangheta del crotonese e del reggino ad ottenere appalti nel settore della fornitura di materiali per l’antinfortunistica.

I due politici – scrivono i pm nel capo di imputazione – “avrebbero assicurato di intercedere con pubblici ufficiali in servizio presso enti pubblici ovvero con amministratori di società in house a livello nazionale (i cui enti o società avrebbero bandito gare di appalto per forniture di prodotti antinfortunistici ovvero di pulizie), nonché proponendosi di corrompere altri pubblici ufficiali preposti alle stazioni appaltanti ovvero, per le società in house, ai competenti uffici appalti”. Cesa, in particolare, scrivono i pm, “si impegnava ad appoggiare il gruppo per soddisfare le mire dei sodali nel campo degli appalti. Con le condotte in parola contribuivano a salvaguardare gli interessi delle compagini associativa di tipo ‘ndranghetistico di riferimento, in particolare le cosche dell’alto jonio catanzarese e del basso jonio crotonese”, cui era legato un altro indagato, Antonio Gallo, “e le cosche reggine” cui era legato un altro indagato, Antonino Pirrello.

Per sugellare il patto ci sarebbe stato, secondo l’accusa, un pranzo con Cesa in un ristorante romano. A volerlo l’imprenditore Antonio Gallo, attorno a cui ruota l’inchiesta. Gallo, secondo l’accusa, si rivolge a Cesa per ottenere, con modalità illecite, appalti per la fornitura di prodotti antinfortunistici erogati dalla sua impresa e banditi da enti pubblici economici e società in house. L’incontro, come documentato dagli investigatori, avviene in un ristorante di Roma il 7 luglio 2017 e vi partecipano, Cesa, Gallo, Talarico, Tommaso Brutto e Saverio Brutto. “L’auspicio dei soggetti calabresi – scrivono i pm – era di potere approfittare della carica di Parlamentare europeo di Cesa per avere entrature in enti pubblici, per appalti, oltre che per gli investimenti in Albania e comunque nell’est Europa”. “Addirittura – scrivono ancora i magistrati – ma questo non è stato riscontrato, Brutto Saverio e Talarico Francesco intendevano remunerare Lorenzo Cesa con una percentuale del 5% sugli affari che grazie ai suoi uffici sarebbero stati agevolati”.

 

“Questa indagine è la sintesi di ciò che diciamo da anni: la ‘ndrangheta spara di meno però corrompe sempre di più, ha rapporti con il mondo dell’imprenditoria e politica. Dimostra appieno il rapporto diretto tra ‘ndrangheta, politica ed economia, con la consapevolezza che l’interlocutore è espressione della criminalità”. A dirlo il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri.

Tra gli arrestati, secondo quanto si è appreso, vi sono molto “molti” colletti bianchi di Catanzaro e provincia. L’operazione  ha coinvolto i maggiori esponenti delle ‘ndrine tra le più importanti di Crotone, Isola Capo Rizzuto e Cutro come “Bonaventura” “Aracri”, “Arena” e “Grande Aracri”, nonché imprenditori di spessore ed esponenti della pubblica amministrazione collusi, secondo l’accusa, con le organizzazioni criminali.

La movimentazione illecita di denaro per un valore di oltre trecento milioni di euro è stata accertata nel corso dell’indagine. Oltre alle misure cautelari, la Procura della Repubblica di Catanzaro ha disposto l’esecuzione di numerosi sequestri di beni costituiti da compendi aziendali, immobili, autoveicoli, conti correnti bancari e postali.

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