Operazione Onta, tutti i dettagli sugli arresti

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Rosarno. Oltre 80 carabinieri del Comando provinciale di Reggio Calabria, supportati dai militari dello Squadrone eliportato cacciatori “Calabria” e dell’8° Nucleo elicotteri sono stati impiegati nel corso dell’operazione “Onta” relativa ai maltrattamenti subiti da Maria Concetta Cacciola dopo la sua decisione di collaborare con la giustizia. L’ordinanza di custodia cautelare, emessa dal gip presso il Tribunale di Reggio Calabria su richiesta della Direzione distrettuale antimafia reggina, nei confronti di: seguenti soggetti per i delitti di seguito indicati: Anna Rosalba Lazzaro, Michele e Giuseppe Cacciola (concorso in maltrattamenti in famiglia, aggravato dall’aver favorito la ‘ndrangheta); Anna Rosalba Lazzaro, Michele, Giuseppe, e Gregorio Cacciola, Vittorio Pisani (concorso in violenza privata, concorso in violenza o minaccia per costringere a commettere un reato, concorso in favoreggiamento personale, tutti aggravati dall’aver favorito la ‘ndrangheta). Le indagini, dirette dalla Dda e sviluppate dai carabinieri di Reggio Calabria, sono state avviate a seguito della trasmissione da parte della Corte d’Assise di Palmi degli atti relativi al processo celebrato nei confronti di Giuseppe Cacciola, Anna Rosalba Lazzaro e Michele Cacciola conclusosi in data 13 luglio 2013 con la condanna di tutti gli imputati per il reato di maltrattamenti in famiglia ai danni della figlia di quest’ultimi due, Maria Concetta Cacciola.

 Nel medesimo contesto sono emersi profili di responsabilità a carico di due avvocati del foro di Palmi, Gregorio Cacciola e Vittorio Pisani, in relazione alla ritrattazione – ed alla fase che l’ha preceduta – di Maria Concetta Cacciola, la quale nel maggio del 2011 aveva avviato un percorso di collaborazione (nella qualità di testimone di giustizia) ed aveva reso dichiarazioni nei confronti dell’articolazione della ‘ndrangheta operante in Rosarno, San Ferdinando e comuni limitrofi, nota come cosca Bellocco. Secondo l’ipotesi d’accusa, il quadro indiziario raccolto va, allo stato degli atti, sintetizzato nelle seguenti risultanze processuali: fin dal primo momento i familiari di Maria Concetta Cacciola sapevano che la figlia si era allontanata da casa perché stava collaborando; per tale ragione nominavano due diversi legali, l’avvocato Gregorio Cacciola e l’avvocato Vittorio Pisani. Già diverse settimane prima di riuscire a mettersi in contatto con Maria Concetta, i Cacciola avevano ben chiare le mosse da compiere in futuro: far rientrare la ragazza a Rosarno e costringerla a ritrattare. Già in questa fase i Cacciola, immaginando che Maria Concetta avesse sottoscritto delle dichiarazioni davanti all’Autorità giudiziaria, erano consapevoli del fatto che per poterle “neutralizzare” sarebbe stato necessario l’ausilio di un legale.Michele Cacciola e Anna Rosalba Lazzaro il giorno stesso in cui incontrarono per la prima volta la figlia, avendo iniziato ad avere contezza di quanto la stessa aveva dichiarato, le dicevano immediatamente che avrebbe dovuto ritrattare; il giorno successivo, nonostante Maria Concetta fosse tornata sotto protezione, Michele Cacciola, Anna Rosalba Lazzaro e Giuseppe Cacciola iniziarono ad organizzarsi per mettere in atto il loro piano, che consisteva nello scrivere una ritrattazione che poi Maria Concetta avrebbe dovuto firmare; anche in questo caso si faceva riferimento alla necessità di rivolgersi, a tal fine, ad un avvocato, precisamente all’avvocato Gregorio Cacciola. Nel pomeriggio dello stesso giorno, nel corso di una telefonata, Maria Concetta ribadiva alla madre che non aveva alcuna intenzione di ritrattare le precedenti dichiarazioni; poco dopo, i coniugi Cacciola raccomandavano alla figlia di nominare l’avvocato procuratole dal padre, esortandola ancora una volta a tornare indietro. Incuranti della ritrosia palesata da Maria Concetta, non appena rientrati a Rosarno, Michele Cacciola e Anna Rosalba Lazzaro si recarono a parlare prima con l’avvocato Gregorio Cacciola (che era stato contattato da Giuseppe Cacciola) e poi con l’avvocato Vittorio Pisani; numerose sono le evidenze investigative che descrivono il grave quadro indiziario delle condotte poste in essere dai destinatari della ordinanza di custodia in carcere in relazione alle fattispecie contestate, dalle conversazioni registrate emerge il grave quadro indiziario del coinvolgimento e del contributo degli avvocati Gregorio Cacciola e Vittorio Pisani nell’attività di costrizione alla ritrattazione posta in essere dai genitori e dal fratello della Cacciola fino alla morte della ragazza. La ritrattazione era finalizzata a favorire persone diverse e cioè, appunto, i soggetti appartenenti alla famiglia Bellocco, accusati da Maria Concetta di reati gravissimi.

In particolare, in merito alla posizione dei due legali coinvolti, nell’inchiesta, coordinata dai pm della Dda di Reggio Calabria, Alessandra Cerreti e Giovanni Musarò, e da Giulia Masci, della procura di Palmi, indagatidi concorso in violenza privata, concorso in violenza o minaccia per costringere a commettere un reato, concorso in favoreggiamento personale, tutti aggravati dall’aver favorito la ndrangheta, vi sono accuse pesantissime.
Nelle intercettazioni poste a sostegno della misura cautelare emessa emergerebbe come l’avvocato Pisani ogni volta che parlava con i propri clienti, accusati di mafia, controllasse bene l’ambiente in cui si trovavano, per verificare se fossero state collocate microspie da parte delle forze dell’ordine, perché sospettava di essere intercettato.
Nello studio dell’avvocato Gregorio Cacciola, all’interno del quale gli inquirenti hanno installato delle microspie, emergerebbe una sconcertante contiguità del professionista con gli ambienti della criminalità organizzata di Rosarno, nel cuore della Piana di Gioia Tauro.  In particolare, secondo l’ordinanza di applicazione della misura cautelare, da alcuni dei dialoghi captati all’interno del suo studio legale, i magistrati hanno dedotto che l’avvocato Cacciola, fungeva stabilmente da consigliere dell’attività di diversi soggetti appartenenti o contigui alla ndrangheta, travalicando i limiti imposti da un legale nel rapporto con i clienti. Secondo gli inquirenti l’avvocato Cacciola, avrebbe consigliato ad un indagato di darsi alla latitanza, invitato il padre di un detenuto a non parlare durante i colloqui perché potrebbero esserci microspie, e si sarebbe dichiarato disponibile a portare messaggi ai detenuti, utilizzando affermazioni proprie dei mafiosi, ad esempio come quando si riferisce alle forze dell’ordine chiamandoli sbirri. Ed infine, secondo gli inquirenti, avrebbe altresì ricevuto e riferito confidenze su fatti gravissimi, come omicidi, avvenuti nel mandamento tirrenico e su dinamiche interne alla ndrangheta.

 

 

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