Ndrangheta, boss del reggino voleva uccidere figlio perchè gay

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Il figlio è gay ed il padre potente boss della ndrangheta lo voleva uccidere. A raccontare l’episodio, in un’intervista a Klaus Davi per il programma KlausCondicio è il Procuratore aggiunto di Roma Michele Prestipino, già pubblico ministero a Reggio Calabria. Il magistrato ha infatti rivelato come il ragazzo omosessuale sia “salvo grazie alla madre. Ma se fosse stato per il padre, per un ragazzo di Reggio Calabria, figlio di un potente boss locale, non ci sarebbe stato scampo. Motivo? Il padre aveva scoperto che l’erede frequentava chat gay. Essere omosessuale per un ‘ndranghetista ancora oggi è causa di vergogna, soprattutto se si è figli di un capo clan”.

Prestipino ha altresì aggiunto “Sono a conoscenza di una vicenda in Calabria in cui un boss con un figlio dall’orientamento sessuale diverso, dopo un momento molto critico, ha lasciato che il giovane continuasse a vivere la sua vita normalmente. E questo non grazie a un grado di emancipazione delle ‘ndrine – spiega Prestipino – ma per un deciso intervento della madre. Se non fosse stato per lei il ragazzo sarebbe stato ucciso. Il figlio ora fa la sua vita, frequenta la scuola e nessuno l’ha mai toccato, nonostante tutti sappiano che è gay e frequenti chat per omosessuali. Quando si dice che c’è maschilismo, patriarcalità, la realtà è molto più complessa. Per uno che nella sua vita ha scelto non solo di essere mafioso ma anche di essere capo, rinunciare a fare del figlio maschio la propria appendice all’esterno o a dare la figlia femmina in matrimonio al figlio dell’altro boss per rafforzarsi ulteriormente, come succede in Calabria, non è una cosa semplice. Scoprire che il proprio eredè è gay poi? Ma c’è una forza antagonista che interagisce, che ti fa rinunciare, che è la forza di cui è portatrice la madre. Uccidere il figlio gay – rivela l’attuale procuratore aggiunto di Roma nel corso dell’intervista a Klaus Davi – avrebbe comportato enormi rischi per la cosca in questione”. Prestipino cita un precedente, il caso della famiglia Impastato: “C’era un padre che era un boss mafioso, uomo d’onore nella famiglia di Cinisi e vicino a Badalamenti. Anche sua moglie veniva da una famiglia di boss ma c’erano i figli che non erano mafiosi. Quando lei è diventata protagonista attiva antimafia? Quando le hanno ammazzato il figlio, non perché era gay, in questo caso. L’opposizione di una madre all’assassinio del figlio può fare la differenza”.

Il magistrato ha specificato come l’omosessualità fra ndranghetisti e mafiosi sia più diffusa di quanto si pensi: “Quando stavo a Palermo sapevamo di diversi boss che frequentavano trans pur spacciandosi per ‘super-machi’. Gli incontri tra mafiosi e transessuali documentati erano frequenti, ma con nessuna rilevanza per le nostre indagini”.

L’intervista, andata in onda oggi e visibile su YouTube al link www.youtube.com/klauscondicio, è stata registrata quando Prestipino era ancora a Reggio Calabria.

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