Rivoluzionari della tastiera, nella Piana piazze vuote e smartphone pieni ma quando finiscono i Gigabyte si spegne il fervore

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La rivoluzione digitale è uno dei fenomeni più importanti della storia. Internet meriterebbe un Nobel per la pace praticamente ogni anno. Facebook e Twitter sono diventati collettori e amplificatori di proteste su larga scala, hanno favorito l’elezione di capi di Stato, fornito un supporto fondamentale alla Primavera araba, stanno picconando le censure di Paesi ancora pericolosamente dittatoriali. Ebbene, come spesso capita, nella Piana l’uso dei social media non è proprio quello dei giovani in lotta per cambiare lo stato delle cose. Anzi, si sta facendo sempre più largo, a queste latitudini, la figura del rivoluzionario da tastiera. E’ una variante pigra dell’intellettuale impegnato. Questo particolare “morbo” colpisce politici, professionisti e lavoratori, è interclassista e non fa distinzioni di sesso, età o razza.

E la cosa drammatica è che tocca ogni settore della vita quotidiana e sociale delle comunità della Piana. Tanto per fare un esempio: il lavoro. I social media, in altre zone più responsabili del globo, servono per consolidare un’opinione e chiamare a raccolta coloro che vogliono protestare, rivendicare, combattere per diritti o tenersi stretta un’occupazione. Qui no. Internet funziona per creare piazze di discussioni su Facebook che nascono e muoiono in rete. Sotto il vestito del web, niente. E allora ci si lamenta del terminalista del Porto di Gioia Tauro, si scrive contro l’Autorità portuale, si brandisce l’arma della protesta contro gli accordi sindacali. Ma tutto, rigorosamente, su internet: piazze vuote, smartphone pieni. E che dire, poi, delle manifestazioni ambientali: tutti contro il rigassificatore, l’inceneritore, gli impianti inquinanti, ma poi quando finiscono i Gigabyte, si spegne il fervore. Ultima arrivata la protesta per la crisi agrumicola. Anche qui si moltiplicano i gruppi e gli appelli su Facebook, ma di iniziative grandi, serie e strutturate neppure l’ombra. E la politica locale? Stesso copione. Probabilmente una lettura errata delle grandi campagne di Obama sui social hanno fuorviato un po’ i nostri politici. Bisognerebbe spiegar loro che le bacheche non sono i luoghi esclusivi deputati a lanciare appelli, programmi, rivendicare risultati, attaccare gli avversari. Si torni in piazza, porta a porta e in carne ed ossa. Oppure tanti aspiranti sindaci e consiglieri rischieranno, sul serio, alle prossime elezioni di ritrovarsi le bacheche piene e le preferenze vuote.

Editoriale del Direttore Domenico Mammola pubblicato su Terra di Mezzo

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