Si laurea in carcere con massimo dei voti con una tesi in cui confessa altri omicidi: Dda acquisisce documenti

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Un uomo di 33 anni, Catello Romano, detenuto nel carcere di Catanzaro, si è laureato in Sociologia col massimo dei voti, conseguendo anche la lode.

Detenuto per varie condanne definitive, tra le quali la più grave è quella per l’omicidio del 2009 di Gino Tommasino, allora consigliere comunale del Pd a Castellammare di Stabia (Napoli), la città d’origine di Romano. Un aspetto non da poco, perché questo fatto di sangue, che sconvolse non solo la città stretta tra l’area vesuviana e la penisola sorrentina, ma la politica nazionale, è finito al centro della tesi intitolata “Fascinazione criminale”. All’interno della quale Romano, entrato giovanissimo nella fila del clan D’Alessandro, confessa di avere fatto parte del comando armato che uccise altre tre persone in due agguati avvenuti nel 2008: quello in cui persero la vita Carmine D’Antuono e l’innocente Federico Donnarumma, e che stando alle parole del neolaureato in sociologia (la cui seduta di tesi si è svolta all’interno del carcere nel pomeriggio di mercoledì 4 ottobre) sarebbe stato il suo “battesimo di sangue”, e quello nel quale perse la vita Nunzio Mascolo, avvenuti a poche settimane di distanza l’uno dall’altro.
Catello Romano nella sua tesi dunque svela particolari legati a delitti ancora irrisolti, che potrebbero permettere agli inquirenti di fare piena luce su casi di cronaca rimasti finora irrisolti: anche per questo, la Dda di Napoli ha acquisito una copia dello scritto premiato dai docenti della facoltà di Catanzaro con il massimo dei voti e la lode,. La tesi in questione è di fatto una sorta di autobiografia di Catello Romano, che deve scontare ancora una decina di anni di carcere, in particolare per l’assassinio del consigliere Tommasino, per il quale è stato condannato a trent’anni di reclusione insieme al resto del gruppo armato che avrebbe fatto fuoco quel pomeriggio, nonostante sull’auto guidata dall’esponente locale del Pd viaggiasse anche il figlio minorenne. Romano descrive questi momenti, sottolineando come si fosse avveduto della presenza del ragazzino, cercando di avvisare gli altri componenti del commando, ma senza riuscire a fermare l’agguato.

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