Taurianovesi condannati per omicidio da “Chi l’ha visto”?, assolti dalla Suprema Corte di Cassazione.

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Con la sentenza della Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione, presieduta dal dott. Gennaro Maresca, si è conclusa definitivamente quella che sembrava una storia giudiziaria senza fine, durata 14 anni con 3 giudizi davanti la Corte di Assise di Appello di Torino e tre annullamenti (l’ultimo senza rinvio) della Suprema Corte.

Domenico Rettura e Rocco Fedele, calabresi di Taurianova, in provincia di Reggio Calabria, titolari, nel 2000, di una ditta che si occupava della lucidatura dell’ottone grezzo utilizzato per la realizzazione dei rubinetti – la “Pulimetal” di Paruzzaro (Novara) – sono stati definitivamente assolti dal reato di omicidio di un dipendente della ditta, il senegalese Mohammed Sow, scomparso il 16 Maggio 2001 dalla provincia di Novara.

La vicenda, che aveva condotto all’incriminazione – formulata dal Pubblico Ministero del Tribunale di Verbania – dei due taurianovesi dei reati di omicidio e occultamento di cadavere, aveva suscitato l’interesse sia della stampa locale che di quella nazionale, tanto da attirare l’attenzione della nota trasmissione di Rai Tre “Chi l’ha visto?” – condotta, a quei tempi, da Federica Sciarelli – che oltre a dedicare al caso numerose puntate decideva di presenziare, con le proprie telecamere, a tutte le udienze del processo di primo grado.

I due giovani calabresi, difesi dagli avvocati Antonino Napoli del foro di Palmi ed Alessandro Gamberini del foro di Bologna, in un primo momento assolti dalla Corte di Assise di Novara – nonostante il pubblico ministero avesse chiesto per entrambi la condanna all’ergastolo – venivano successivamente ritenuti colpevoli, del reato di omicidio preterintenzionale, dalla Corte di Assise di Appello di Torino.

Corte di Assise di Appello Torinese, accogliendo le richieste avanzate dalla Procura Generale, aveva disposto la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, ordinando nuove indagini sul DNA ritrovato sulla scena del presunto crimine, nonché una perizia grafologica sulla firma apposta da Sow sull’ultima busta paga ricevuta. Per la realizzazione di tali analisi la Corte nominava quale proprio perito il generale Luciano Garofano, all’epoca comandante dei RIS di Parma; mentre la difesa conferiva l’incarico di consulente di parte al professore Enrico Marinelli dell’Università degli studi di Roma “La Sapienza”.

Contro la sentenza di condanna degli imputati, gli avvocati Antonino Napoli e Alessandro Gamberini proponevano ricorso per Cassazione.

La Suprema Corte, in accoglimento delle tesi difensive e disattendendo la richiesta di conferma della sentenza impugnata, avanzata dal Procuratore Generale, annullava la sentenza di condanna e disponeva il rinvio del giudizio davanti ad altra sezione della Corte di Assise di Appello di Torino.

La Seconda Sezione della Corte di Assise di Appello di Torino nel nuovo giudizio confermava la condanna di Rettura e Fedele a 14 anni di reclusione per omicidio preterintenzionale.

Anche nel nuovo giudizio di appello i giudici disponevano la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale conferendo l’incarico di trascrivere e ripulire alcune tracce audio delle intercettazioni ambientali con software più avanzati a due periti. La difesa, di contro, si avvaleva della consulenza dei professori Luciano Romito e Giampiero Benedetti; due dei maggiori esperti nazionali di fonetica forense.

Anche la sentenza di condanna resa dalla Seconda Sezione della Corte di Assise di Appello di Torino veniva impugnata dalle difese dei due imprenditori, dinanzi alla Corte di Cassazione.

La Prima Sezione della Suprema Corte, nonostante la richiesta di conferma – della sentenza condanna – proposta dal Procuratore Generale, dottor Francesco Iacoviello, accoglieva il ricorso degli avvocati Napoli e Gamberini disponendo un nuovo giudizio davanti ad altra sezione della Corte di Assise di Appello Torino.

Nel nuovo giudizio (il terzo) di secondo grado, il Procuratore Generale, dott. Vittorio Nessi, dopo una lunga requisitoria richiedeva la condanna di Rocco Fedele di Domenico Rettura rispettivamente alla pena di 24 e 20 anni di reclusione.

Nel corso dell’ennesimo giudizio gli avvocati Gamberini e Napoli, contestavano: gli indizi evidenziati dal procuratore generale; le prove scientifiche effettuate col moderno sistema del “Bloodstain Pattern Analysis”; e la unidirezionalità delle indagini della polizia giudiziaria che si erano concentrate solo sui due imprenditori, tralasciando ogni altra pista investigativa.

Ascoltate le repliche del procuratore generale e dei difensori, la Corte di Assise di Appello di Torino, dopo quasi quattro ore di camera di consiglio, assolveva entrambi gli imputati confermando la sentenza di assoluzione di primo grado.  

La sentenza di assoluzione veniva questa volta impugnata, dinanzi alla Suprema Corte, dal Procuratore Generale della Repubblica.

La Quinta Sezione Penale di Cassazione, nonostante il Procuratore Generale d’udienza avesse chiesto l’annullamento con rinvio della sentenza di assoluzione, ha posto un definitivo suggello – dopo quattordici anni – sulla vicenda giudiziaria: respingendo il ricorso proposto dal PG; accogliendo le argomentazioni difensive articolate dagli avvocati Antonino Napoli e Alessandro Gamberi; e mandando definitivamente assolti Domenico Rettura e di Rocco Fedele.

L’avvocato Antonino Napoli a commento dell’assoluzione dei propri assistiti ha dichiarato: “La vicenda evidenzia la pericolosità dei processi mediatici celebrati, negli studi televisivi, in occasioni di episodici fatti di cronaca nera, capaci di condizionare l’opinione pubblica e con essa le aspettative di condanna della collettività. Al riguardo va evidenziato come, se il processo Sow non avesse avuto un’ampia ed estesa eco mediatica, lo stesso si sarebbe, probabilmente, concluso in tempi più ragionevoli. Le sentenze di assoluzione pronunciate (in primo grado) dalla Corte d’Assise di Torino, in secondo grado (nel 2014) dalla Corte d’Assise d’Appello e le tre decisioni della Corte di Cassazione dimostrano come vi fosse – sin dall’inizio della vicenda – un dubbio ragionevole circa la colpevolezza dei due imputati. Nonostante ciò si sono resi necessari ben 7 gradi di giudizio per giungere ad una statuizione definitiva. Ciò è forse avvenuto a causa delle inchieste televisive che hanno fondato nell’opinione pubblica il convincimento della colpevolezza dei due imprenditori e hanno indotto i giudici ad assumere un atteggiamento meno incline all’assoluzione. Al riguardo va evidenziato come la stessa AGCOM ha avvertito la necessità di emanare nel febbraio del 2008 un “atto di indirizzo sulle corrette modalità di rappresentazione dei procedimenti giudiziari nelle trasmissioni televisive” onde garantire l’osservanza dei principi di obiettività, completezza, lealtà e imparzialità dell’informazione in tutte le trasmissioni che hanno ad oggetto la raffigurazione di vicende costituenti materia di procedimenti giudiziari. Al riguardo va ricordato come già nei primi decenni del ‘900 uno dei più noti pensatori del secolo scorso, Jürgen Habermas, avesse – in una delle sue più note opere – messo in guardia sui rischi di deficit democratico cui possono condurre attività di condizionamento e/o “indottrinamento” dell’opinione pubblica”.

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