TRIPODI GAME OVER. Rosarno: la minoranza e la consigliera Varrà si dimettono. Sciolto il Consiglio

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Finisce l’era Tripodi a Rosarno. E si sgretola dall’interno. La consigliera comunale Domenica Varrà – eletta con la lista Agorà, creatura proprio della sindaca – si è dimessa appena qualche minuto fa, di concerto con le minoranze, raggiungendo il quorum necessario per decretare lo scioglimento del Consiglio comunale.

Elisabetta Tripodi, dopo 4 anni e mezzo, non è più sindaco di Rosarno. E’ stata una fine travagliata, soprattutto gli ultimi due anni e mezzo sono stati un autentico calvario politico. La sindaca ha dapprima perso l’Udc, partito ago della bilancia alle elezioni del 2010, per contrasti molto forti sulla linea politica e amministrativa, poi hanno salutato due consigliere donne del Pd, ormai ai ferri corti con la Tripodi per presunta mancanza di chiarezza su scelte chiave, e poi sono saltati via via ben 3 assessori tra i più votati. Ultimo tra questi, Francesco Bonelli, amministratore che aveva subito il rogo della sua auto tre mesi orsono e dopo qualche abbraccio e pacca sulle spalle ha rassegnato le dimissioni in un sostanziale silenzio  – eccezion fatta per il comunicato canonico per il caro estinto – da parte della maggioranza.

Una consiliatura di abbandoni quella della Tripodi, che ha visto l’eclissarsi anche del suo manager di fiducia ai lavori pubblici, Luciano Macrì, contestatissimo da ampi settori della maggioranza. E per ultimo ha sbattuto la porta anche il capo dei vigili urbani, Michele Bruzzese, che pare non avesse proprio un rapporto idilliaco con la sindaca. Dulcis in fundo, si è dimessa – insieme alle minoranze – la consigliera Varrà, dapprima molto legata alla Tripodi ma via via allontanatasi verso l’Aventino per un rapporto sfilacciatosi su numerosi punti politici e amministrativi.

Una legislatura che sarà ricordata anche come quella che ha polverizzato i partiti di sinistra, con un Pd ormai ai minimi storici – anche quando a livello nazionale vince – ed una sinistra estrema divisa. La Tripodi, che ha aderito al Pd da un paio d’anni, è passata da bersaniana convinta al verbo di Matteo Renzi, con la costante, tuttavia, di perdere tutte le sfide interne, cosa che ha danneggiato anche la sua considerazione ai piani alti dei democratici regionali.

La sindaca è balzata agli onori della cronaca per la vicenda di Rocco Pesce, boss ergastolano che le ha  scritto una lettera controversa, considerata dalla magistratura come minatoria –  a lei che è corpo dello Stato – così tanto da assegnare alla Tripodi la scorta da oltre un triennio. Una vicenda processuale, quella delle presunte minacce di Pesce, che è ancora in corso e vede il boss dapprima assolto, ora costretto dalla Cassazione a subire un processo bis per la lettera.

Se la Tripodi, in questo quasi lustro, ha incassato un consenso personale ampio, ha senza dubbio balbettato su quello politico, non riuscendo mai a sfondare elettoralmente e neppure a frequentare i loft giusti della politica che conta. Un esempio contrario a quello dell’ex ministra Maria Carmela Lanzetta, di cui la Tripodi è molto amica ma nella vicenda delle dimissioni dal governo e nella polemica che ne è seguita la sindaca di Rosarno non è stata particolarmente presente, almeno pubblicamente, al capezzale dell’amica di Monasterace.

Una legislatura di croce e delizia, con i punti positivi segnati soprattutto con premi personali in qualità di sindaco della legalità, ma un riscontro non troppo positivo nella sua coalizione e nella sua città. Quasi che la Tripodi in passerella non fosse la stessa di quella dietro la scrivania di palazzo San Giovanni. Fatali per la sindaca non le idi di marzo ma la pallida primavera di maggio, nelle vesti di Bruto non un figliol prodigo allevato all’ombra del foro romano ma una consigliera che non ha mai aderito al Pd e che è rimasta fieramente libera da tessere e legacci.

Di questo crollo, forse inatteso ma figlio di uno sgretolamento lento, ha gioito l’opposizione, un variopinto terzetto formato da Area popolare, Forza Italia e Grande Sud. Una minoranza che ha urlato, spesso e volentieri, contro la presunta ambiguità della Tripodi: legalitaria per le pagine dei giornali e troppo cinica all’interno delle stanze del municipio. Un’opposizione che ha approfittato della fragilità di una coalizione di governo ormai povera di uomini e di voti, con undici consiglieri – contro 10 – tra cui un giovane professionista emigrante per lavoro che vive a 1200 chilometri da Rosarno, ed altri esponenti che difficilmente sarebbero stati dentro l’assise senza le tantissime defezioni nel corso della legislatura.

Il colpo subito dalla Tripodi è ancora caldo, e non si escludono reazioni forti dalla sindaca disarcionata o dalla coalizione ormai evaporata. L’unica cosa certa è che si voterà tra poco meno di un anno, e il tempo per costruire nuove offerte politiche c’è tutto. Appare difficile, comunque, rivedere in campo il centrosinistra che fu, con il centro che è andato altrove e la sinistra che si divide tra Pd, Sinistra per Rosarno e Sel, forse ormai lontane e con uomini e obiettivi diversi.

Domenico Mammola

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