Donne si incatenano per protestare contro sentenza Califfo

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Alcune donne, familiari di Danilo D’Amico e Francesco Antonio Tocco, condannati entrambi ieri dal Tribunale di Palmi alla pena di anni 13 e mesi 8 di reclusione per il reato di associazione mafiosa, si sono incatenate stamattina dalle ore 11 davanti al Tribunale Penale della cittadina della Piana. Le familiari dei due condannati hanno esposto anche degli striscioni di protesta, che sono stati fatti togliere dopo qualche ora dalle intervenute forze dell’ordine perché trattasi di manifestazione non autorizzata.  Le donne incatenate hanno in particolare contestato la sentenza di condanna, fondata secondo le stesse su “un banale biglietto”, senza che vi siano “prove concrete”. 

Il biglietto a cui le stesse fanno riferimento è quello trovato in possesso di Pesce Francesco detenuto presso il carcere di Palmi, in cui secondo gli inquirenti, lo stesso, avrebbe impartito agli affiliati direttive di natura gestionale ed economica, ed in particolare con l’espressione “un fiore per mio fratello” avrebbe sancito il passaggio di consegne nella leadership al fratello Pesce Giuseppe.

Di seguito il contenuto integrale della lettera di protesta delle donne incatenate:

Siamo qui oggi davanti al Tribunale, per protestare contro le ingiuste sentenze inflitte dai giudici del Tribunale di Palmi nei confronti dei nostri familiari; accusati e condannati di associazione mafiosa per un banale biglietto, ritrovato nel carcere di Palmi con su scritto dei nomi di persone innocenti che da un momento all’altro si sono ritrovati, senza saperne neppure il motivo, catapultati in questa vicenda giudiziari, strappati dalle braccia dei loro bambini e dalle loro famiglie. Un biglietto mai arrivato a destinazione e senza conoscerne il reale contenuto, bensì basato sulla limitata interpretazione della Procura, che non ha svolto indagini dettagliate per acquisirne il reale significato, poiché più volte anche i nostri avvocati hanno cercato di dimostrare che la predetta interpretazione poteva non essere quella esatta e far capire ai giudici che il termine “fiore” può avere svariati significati come ad esempio fiore inteso come “denaro” o fiore come “nome proprio di persona”. La verità è che tra questi nomi vi sono padri di famiglia e figli innocenti che hanno sempre vissuto di lavoro onesto, che non hanno mai commesso reati di alcun genere. Ci appelliamo oggi a tutte le istituzioni affinchè venga fatta “vera giustizia” e chiediamo la revisione del processo per una giusta sentenza, basata su veri reati e prove concrete.”

In basso la sentenza del processo Califfo

http://www.zmedia.it/in-primo-piano/2388-sentenza-califfo-condanne-per-oltre-150-anni-di-carcere-per-la-cosca-pesce

Giada Zurzolo

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