Rosarno fa i conti con l’ordinaria amministrazione. La fine della legislatura di Elisabetta Tripodi ha lasciato in eredità una decina di mesi di commissariamento ordinario che, probabilmente, potrebbe partire domani – o al massimo mercoledì – e traghetterà la città fino alle elezioni di aprile-maggio 2016. Ci sono, tuttavia, ancora le scorie di un dibattito avvelenato, monta il rischio che la fine anticipata della legislatura – avvenuta con modalità prescritte dal nostro ordinamento, ossia le dimissioni contestuali della metà più uno dei consiglieri comunali – possa riaprire il dibattito sulla ‘ndrangheta che condiziona il voto a Rosarno e licenzia i sindaci. In effetti definire ‘ndranghetisti 11 consiglieri comunali dimissionari – tra cui 3 che hanno fatto parte della coalizione vincitrice del 2010 della Tripodi – sembra assai ardito, come lo è non valutare che l’ex maggioranza era da almeno 2 anni e mezzo in crisi perenne, con rimpasti di giunta annunciati e lunghi da approntare e frequenti rotazioni di assessori. Lo sapeva anche la Tripodi, e per estrema onestà la stessa sindaca non ha mai detto – almeno a caldo nelle ultime 48 ore – di essere stata messa alla porta dalla ‘ndrangheta. Tutt’altro, l’ex inquilina di palazzo San Giovanni ha biasimato la sua maggioranza litigiosa e calcato la mano su situazioni personali che avrebbero avvelenato i pozzi della dialettica politica interna. Il problema è sollevato soprattutto dall’esterno. E si capisce benissimo, in effetti, che se si legge la realtà di Rosarno esclusivamente dalla lente di una città che ospita le più feroci cosche di ‘ndrangheta – cosa verissima e verificata giudiziariamente – che ha al suo interno storie di importanti collaboratrici di donne che si sono divincolate dalla ‘ndrangheta, che l’ex sindaca è stata messa sotto scorta a causa della controversa lettera del boss Rocco Pesce, allora è chiaro che Rosarno è metafora di criminalità organizzata. Ma la realtà è molto più complessa e multiforme. La fine anticipata della legislatura – a meno che la magistratura, gli inquirenti o gli stessi protagonisti non dicano diversamente – è stata causata da un fatto politico-procedurale e anche personale se vogliamo. E’ un atto di sfiducia, palese, documentato e firmato, non da pregiudicati, ma da consiglieri comunali. Tra questi vi erano anche coloro i quali non hanno più voluto condividere un percorso amministrativo con la Tripodi, come è capitato a moltissimi altri ex supporter, non per un disegno criminale-mafioso, ma perché politicamente, personalmente e strategicamente, hanno ritenuto fallimentare l’esperienza di una giunta che negli anni ha perso appeal, uomini ed elezioni intermedie.
Il Partito Democratico regionale, nella giornata di ieri, ha giustamente sostenuto il suo ex sindaco, ne ha promesso la valorizzazione, ha anche utilizzato iperboli – “agguato” – tipiche di chi, in effetti, conosce la realtà locale solo dalle pagine dei giornali o da qualche post su facebook. Ma era dovuto ed era necessario che il Pd non lasciasse da sola un sindaco sfiduciato, tanto più se sotto scorta. Il problema, tuttavia, è che le strutture politiche del partito non si sono chieste come sia potuto accadere che l’amministrazione venisse sfiduciata con ben 11 firme di consiglieri che hanno parlato, discusso e organizzato le dimissioni collettive nei giorni precedenti. Cioè, il punto è chiaro: com’è possibile che moltissimi in città sospettavano che minoranza e una consigliera di maggioranza stavano per troncare – legittimamente – la legislatura, e invece nella maggioranza nessuno si era accorto che il castello stava per crollare? E’ forse questo un segno di evidente scollamento di chi ha governato finora rispetto alla realtà del paese reale e quotidiano? Forse sì.
Ora per Rosarno si aprirà una pagina nuova, così come per la Tripodi. Per la ex sindaca si parla di un possibile assessorato regionale, ma ella stessa sa bene che ci sarebbero pro e contro, non è sciocca né lo è mai stata. Tutt’altro, sa benissimo che chi oggi la incensa, a livello regionale, stampa compresa, domani starà con il fucile spianato e addirittura potrebbe maliziosamente ricordarle che la sua ex gemella antimafia Maria Carmela Lanzetta ha rifiutato quello stesso posto in giunta per presunte presenze scomode a palazzo Alemanni. I maggiorenti regionale del Pd abbiano il coraggio invece di proporre alla Tripodi una nuova candidatura a sindaco nel 2016, di confrontarsi con il consenso della città, e si assumano la responsabilità di sostenerla lealmente, piuttosto che proporle futuribili scranni o retoriche pacche sulle spalle.
La pagina nuova per Rosarno, invece, ancora deve aprirsi, ma l’esigenza sentita da più parti è che non si ricominci a parlare di una città segnata dalla lettera scarlatta delle ‘ndrine, e soprattutto che esprima una classe dirigente nuova, pulita, giovane e che non subisca il fascino del dejà-vù e non proponga le solite minestre riscaldate.
Domenico Mammola